Relazione di Serena Rugiero (Fondazione Di Vittorio) al seminario Filctem Cgil sugli impatti sociali della transizione energetica
Benvenuti a questo seminario sugli impatti sociali della transizione energetica attraverso cui ci interrogheremo, muovendoci dai nostri territori all’Europa, su come costruire insieme processi di giusta transizione, attraverso una discussione articolata in un’ottica di dialogo sociale allargato, basato cioè sull’ascolto della voce del sindacato, dell’impresa, delle istituzioni, ma anche degli esperti, delle associazioni ambientaliste e, appunto, dei territori stessi che sono i veri protagonisti di questa trasformazione verso un diverso modello di sviluppo più compatibile con le ragioni dell’ambiente.
Il primo scopo di questa mia relazione introduttiva è quello di porre l’attenzione innanzitutto sulla complessità della transizione ecologica, con il suo portato di inedite trasformazioni tecnologiche, economiche, politiche e culturali e delle sue conseguenze sulla dimensione sociale di questi mutamenti che è quella rispetto alla quale si configura maggiormente il potere di agency dell’azione sindacale e, in particolare, il suo porsi come agente pro-attivo, e non solamente reattivo, dei profondi cambiamenti indotti dalla decarbonizzazione del sistema capitalistico, dalle nuove relazioni tra stato, mercato e società che ne derivano e anche dalle inevitabili tensioni che si creano (all’esterno e all’interno del sindacato) nel raggiungimento delle sfide della transizione per l’ambiente, per l’innovazione e per il lavoro, che richiamano un rinnovato ruolo di rappresentanza e rappresentatività del lavoro1.
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1 Le osservazioni contenute in questa relazione sono in parte presenti nell’articolo dell’autrice “Sindacato e transizione energetica tra nuovi orientamenti culturali e pratiche di giusta transizione” uscito su Quaderni di Rassegna Sindacale, Numero speciale QRS 2/21, pp. 63-73.
Questa riflessione sulla centralità dell’intervento del sindacato nell’accompagnare e nel governare la transizione ecologica è resa necessaria dalla portata dell’accelerazione del processo di decarbonizzazione per il raggiungimento del target che vuole l’Europa al 2050 primo continente climaticamente neutrale: con enormi conseguenze sulla competitività del sistema industriale, sull’occupazione, sull’organizzazione e la qualità del lavoro e sulle competenze dei lavoratori e le loro economie locali e regionali di appartenenza.
Come sappiamo, il processo di decarbonizzazione è stato ulteriormente complessificato dalla crisi globale generata dalla pandemia da COVID-19, che ha esacerbato le sfide di lungo periodo insite nella transizione ecologica ed energetica: colpendo tutti i mercati dell’energia (ma con implicazioni particolarmente gravi per quei paesi il cui sostentamento dipende maggiormente dalle attività fossili); causando, insieme all’instabilità dei mercati e ad altri fattori concomitanti, l’impetuoso aumento del prezzo dell’elettricità e del gas con le gravi conseguenze che un elevato costo dell’energia ha non solo sugli investimenti e sulle aziende (e, quindi, conseguentemente sull’occupazione), ma anche sulle bollette di luce e gas a svantaggio delle famiglie più vulnerabili (seppure tale impatto sia stato momentaneamente attenuato dai provvedimenti governativi, attraverso la riduzione e poi l’azzeramento degli oneri di sistema in via temporanea, interventi che però non modificano le strutture che causano questi cambiamenti non incidendo, ad esempio, sull’architettura dei mercati). In questo senso, l’emergenza pandemica ci spinge ulteriormente a fronteggiare gli effetti distributivi di una crisi non solo ambientale ma anche economica e sociale in modo il più possibile equo e bilanciato, secondo i principi della just transition che diventano, quindi, ancora più importanti nel contesto della pandemia e che sono e devono essere parte integrante delle politiche di decarbonizzazione, perché premessa ineludibile dell’accettazione sociale della decarbonizzazione stessa, conferendo alle parti sociali un ruolo chiave come agenti attivi del cambiamento in favore della sostenibilità dello sviluppo2.
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2Ibidem
Del resto, guardando le cose da un altro punto di vista, l’emergenza pandemica può offrire anche un’opportunità per accelerare - che è un’altra parola, chiave accanto a complessità, quando si parla di transizione - l’attuazione del green deal europeo attraverso i Piani nazionali di ripresa e resilienza nazionali il cui obiettivo, come sappiamo, è di mitigare gli impatti economici e sociali della pandemia, ma garantendo una ripresa sostenibile e inclusiva. Pertanto, il PNRR rappresenta una grande occasione per imprimere una significativa svolta alla costruzione di un modello di sviluppo economico basato sulla circolarità e sulla sostenibilità energetico-ambientale, a patto però che il piano sostenga concretamente il ruolo cruciale delle politiche di giusta transizione nel raggiungimento di una trasformazione ecologica inclusiva.
Questo rende ancora più centrale che si ponga la dovuta attenzione alle regioni, ai settori, alle imprese, ai lavoratori, ai gruppi sociali più colpiti dagli effetti della transizione attraverso politiche adeguatamente progettate di just transition che dovranno essere radicate nei processi di dialogo sociale e di una contrattazione collettiva innovativa.
Il sistema di relazioni industriali e il dialogo sociale sono strumenti fondamentali per rispondere alle sfide e alle opportunità derivanti dalla transizione ecologica ed energetica, perché sono in grado di individuarne e controllarne le conseguenze (previste e impreviste) e i rischi che ne derivano (in materia di occupazione, salute e sicurezza dei lavoratori, disuguaglianza ed esclusione sociale rispetto all’impatto territoriale).
La loro importanza nel garantire una transizione socialmente equa e bilanciata non stupisce considerando che, come non perdo mai occasione di ricordare, i principi di giusta transizione sono una conquista del movimento sindacale internazionale che già negli anni Novanta si adoperava perché le condizioni sociali fossero parte integrante della politica e dell’azione per il clima. Quindi ben prima della svolta epocale del 2015, anno segnato dall’adozione dell’agenda ONU 2030 e della Cop 21 di Parigi nel preambolo del cui accordo è stato poi inserito il concetto di giusta transizione che è oggi uno dei pilastri del green deal europeo.
E in questo senso non è un caso che l’Europa, mediante il ricorso alla just transition, con il green deal intende diventare leader planetario non solo nella lotta al cambiamento climatico ma anche nel promuovere la sostenibilità sociale della transizione, segnando un significativo cambio di passo rispetto alle precedenti transizioni energetiche che hanno puntellato la storia dello sviluppo delle civiltà umane: cercando esplicitamente di coniugare a un nuovo paradigma energetico un cambiamento sociale profondo che mira a garantire, allo stesso tempo, la riduzione delle emissioni climalteranti e lo sviluppo dell’occupazione, la lotta al cambiamento climatico e la lotta alla povertà e alla diseguaglianza3.
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3 S. Rugiero, 2019, “Decarbonisation in the Italian energy sector. The role of social dialogue to achieve a just transition in the Enel case”, in Galcòczy B. (ed.), Towards a just transition: coal, cars and the world of work, Brussels, ETUI.
Ci troviamo però oggi, al di là delle dichiarazioni di intenti, a domandarci se la preoccupazione per la dimensione sociale della transizione - che si rinnova ulteriormente a fronte della ricchezza e complessità delle proposte politiche del pacchetto fit for 55 per il raggiungimento degli obiettivi intermedi al 2030 - si possa concretizzare in soluzioni chiare per la gestione delle conseguenze sociali per il futuro di milioni di lavoratori che verranno impattati dai processi di decarbonizzazione insieme alle loro comunità di appartenenza, in virtù dell’inestricabile intreccio esistente tra le tecnologie energetico-ambientali e il tessuto economico e sociale dei territori.
In effetti, per affrontare efficacemente le sfide e le opportunità della transizione energetica è necessario un profondo cambiamento politico-culturale che metta a sistema le interazioni complesse tra trasformazione tecnologica e cambiamento societale nel quadro di una “transizione socio-tecnica” verso la sostenibilità. Vale a dire, un processo che non coinvolge solo cambiamenti tecnologici in se ma anche mutamenti nelle pratiche sociali, nelle norme, negli assetti produttivi industriali, nelle infrastrutture, nei sistemi simbolici e culturali che li sottendono.
Proprio la lettura della transizione tecnologica in favore della sostenibilità come sistema sociotecnico, basata su una visione di mutamento sistemico e una prospettiva multilivello, permette di cogliere il ruolo che l’azione sindacale può e deve avere per governare in modo socialmente equo ed equilibrato questi processi, promuovendo una narrativa della transizione che si pone in alternativa sia ad una transizione market-based, che ad una fondata sulla ecological modernization (che si affidi esclusivamente ai progressi della scienza e della tecnologia), promuovendo la costruzione di una transizione labour oriented che dia voce a coloro sui quali ricadono gli effetti distributivi della transizione e che possono essere gli agenti attivi di questa trasformazione. Questa prospettiva che intende, da un lato, impegnarsi in politiche ambientali più ambiziose per affrontare gli effetti del cambiamento climatico ma, dall’altro, garantire la protezione di lavoratori e territori dagli effetti socio economici che possono derivarne invoca un quadro di policy di ampia portata che unisca le questioni del clima, dell’occupazione, delle politiche formative, sociali ed industriali in una visione di politica integrata che è in larga parte ancora da costruire4.
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4 S. Rugiero, 2020, op. cit.
Ed è di concrete azioni di policy da mettere in campo nell’ambito di una transizione labour -oriented che vogliamo discutere oggi insieme, partendo dall’ascolto delle ragioni di chi a livello sindacale opera nei territori italiani maggiormente esposti alla transizione energetica per arrivare ad uno sguardo europeo.
A stimolare una riflessione congiunta su questi temi è anche la constatazione che ci troviamo oggi di fronte a un inedito volume di finanziamenti che gravitano attorno alla transizione ecologica. Non ci riferiamo solo ai piani di finanziamento del green deal - e dobbiamo ricordare che c’è uno strumento finanziario concreto, il meccanismo di giusta transizione, che con il just transition fund mobilita 17,5 miliardi di euro per le regioni particolarmente vulnerabili, che fanno cioè ancora molto affidamento sulla produzione e sull’estrazione di combustibili fossili (come le regioni carbonifere) o che ospitano attività carbon intensive. E sappiamo che l’Italia ha indicato quali destinatarie della propria quota del JTF l’area del Sulcis Iglesiente e l’area di Taranto con una dotazione di circa un miliardo di euro. Ma ci sono anche i finanziamenti dei piani nazionali di ripresa e resilienza, con cui già si traducono una buona parte delle risorse complessivamente richieste dai paesi membri per l’azione sul clima e c’è il social climate fund ed il fondo sociale europeo.
Si tratta di risorse ingenti che vanno però messe in relazione al fatto che la transizione verso la neutralità climatica coinvolge pervasivamente tutte le regioni e, ad esempio nel caso italiano, avrà un impatto per l’apparato industriale e la dimensione occupazionale nel suo complesso, investendone tutte le filiere. La decarbonizzazione dell’economia, infatti, oltre a determinare la chiusura di attività, come nel caso delle centrali termoelettriche non più economicamente remunerative e ambientalmente sostenibili (soprattutto nell’ottica della accelerazione dell’uscita dal carbone) e la crisi delle raffinerie, determina anche trasformazioni di prodotto (ad esempio, nel campo della plastica) e trasformazioni di processo trasversali a molti settori. Basti pensare all’impatto della transizione sui settori cd. hard to abate che sono, ad un tempo, energivori ed inquinanti: l’acciaio (ad es. per la produzione con idrogeno), le fonderie, la chimica, i cementifici (abbattimento delle emissioni), il vetro, la ceramica, la carta e in ultimo, ma non in ordine di importanza, va considerata la trasformazione dell’industria dell’automotive coinvolta nella sfida verso i veicoli elettrici e verso i biocarburanti e l’idrogeno.
Pertanto, è prioritario che questa pioggia di fondi per accompagnare la transizione ecologica sia ben spesa chiamando le parti sociali e le istituzioni ad un dialogo per condividere una responsabile strategia industriale ed energetica di lungo termine con al centro il territorio e le comunità per garantire un futuro produttivo ed occupazionale dei siti sottoposti ai processi di decarbonizzazione.
Realizzare politiche di giusta transizione richiede una visione programmatica e la necessità, già più volte espressa in passato, di una politica industriale e di sviluppo chiara e condivisa in cui va definito il ruolo di intervento dello stato e una maggiore integrazione pubblico/privato con precisi atti di indirizzo che accompagnino solidi piani industriali delle imprese e che sia oggi ancor più all’altezza della velocità delle trasformazioni in atto.
Per un corretto utilizzo dei fondi, che sfugga alla storica in-capacità istituzionale e amministrativa di spesa (già esperita rispetto ai fondi strutturali europei) sono essenziali: oltre ad una rigorosa road map e un sistema costante di vigilanza e di verifica della realizzazione degli interventi, gli snellimenti e le semplificazioni della burocrazia e delle procedure autorizzative, per rendere possibile la trasformazione nei tempi e nei modi previsti considerando che la lentezza delle procedure amministrative ha da sempre costituito un ostacolo strutturale allo sviluppo e alla modernizzazione energetica del Paese. In particolare, lo sviluppo delle energie rinnovabili e la sicurezza e la stabilità elettrica ed energetica sono connesse agli investimenti per la riprogettazione delle infrastrutture di rete. Pertanto, certezza di un quadro normativo e autorizzativo chiaro e stabile e sostegno alla realizzazione di progetti innovativi per la trasformazione attraverso fast track autorizzativi e l’utilizzo di risorse dedicate sono condizioni fondamentali per il rispetto delle tempistiche definite per l’utilizzo dei fondi.
Infine, uno degli elementi più critici nell’ottica della realizzazione di politiche di giusta transazione è la necessità di una governance partecipata nelle scelte pubbliche con un pieno coinvolgimento delle parti sociali e delle istituzioni territoriali attraverso percorsi democratici e partecipativi.
Le esperienze raccolte da diversi casi di studio a livello nazionale ed europeo, mostrano che il dialogo sociale e un coinvolgimento significativo delle parti interessate è necessario in tutti i casi di giusta transizione, soprattutto in riferimento alla riconversione in termini di sviluppo industriale sostenibile dei siti oggetto delle dismissioni che pongono al centro il tema della riqualificazione e del ricollocamento dei lavoratori, della gestione delle conseguenze sull’indotto e, quindi, delle misure necessarie per salvaguardare l’occupazione e l’occupabilità, per la tutela dei redditi e la tenuta delle economie locali.
Prendere in carico la dimensione sociale della transizione significa non solo effettuare investimenti sulle tecnologie e le infrastutture ma anche per il sistema di welfare, partecipando attivamente ad un ridisegno organico delle politiche attive del lavoro e degli ammortizzatori sociali a sostegno della riconversione industriale ed occupazionale, al fine di affrontare la sfida della trasformazione del modello di sviluppo proteggendo i diritti dei lavoratori e dei territori con normative lavoristiche e investimenti su larga scala per la riqualificazione e la specializzazione delle risorse umane, con meccanismi di ricollocazione lavorativa cosi come per la creazione di nuovi posti di lavoro sostenibili in termini di green e decent works (secondo l’accezione di lavoro dignitoso dell’Ilo).
In questa direzione, al netto dei cambiamenti già in essere (come ad esempio, la nuova riforma degli ammortizzatori sociali), sul piano delle proposte di cui oggi vogliamo anche parlare, appare utile l’implementazione di uno strumento ad hoc, come ad es. un fondo specifico, che in linea con l’attuazione degli obiettivi del PNRR e del green deal europeo, sia volto a coordinare (integrando in unico quadro di insieme) tutti gli interventi per la riconversione socialmente sostenibile della industria italiana all’interno delle linee strategiche di una nuova politica industriale a sostegno della transizione ecologica del sistema industria. Lo scopo è quello dell’implementazione di una politica integrata di misure, specificatamente pensate per la riconversione ecologica dell’apparato industriale, che richiede l’implementazione di un sistema di interventi di salvaguardia dell’occupazione basato su un complesso di politiche di sostegno al lavoro: sia sul potenziamento delle politiche passive di protezione del reddito, attraverso il rafforzamento degli ammortizzatori sociali con finanziamenti dedicati, sia sulla valorizzazione di politiche attive del lavoro che sostengano i lavoratori in transizione attraverso l’aggiornamento, la riqualificazione e la certificazione delle competenze, favorendo l’incontro della domanda e dell’offerta di lavoro, prevedendo ed individuando i fabbisogni in termini di skills attraverso un adattamento delle strutture e dei programmi di istruzione e formazione professionale. In particolare, è fondamentale che si attui uno sforzo di coordinamento degli interventi di formazione in modo funzionale alle politiche di riconversione industriale per favorire lo scambio tra istruzione e mercato del lavoro e tra sistema formativo e mondo produttivo, e attivando politiche formative finalizzate sia all’orientamento professionale degli inattivi, ovvero per l’inserimento lavorativo dei giovani, sia per rispondere alle esigenze di chi già lavora e si trova a dover affrontare nuove domande provenienti dai cambiamenti in atto, sia per chi è vittima dei processi di espulsione determinati dalla transizione.
Questo percorso verso una “just green transition” che garantisca una trasformazione socialmente equa in favore della decarbonizzazione richiede, oltre ad un profondo cambiamento culturale e di policy, anche un ridisegno interno al sindacato.
Le sfide che si pongono alla contrattazione nel confronto con la crisi ecologica richiedono al sindacato di innovare le proprie pratiche di negoziazione con un’apertura su nuovi temi della contrattazione che superi i confini delle controversie attinenti al trattamento economico e alle condizioni di prestazione del lavoro e il rafforzamento di scambi tra categorie che intervengono in diversa maniera nella costruzione dei percorsi di transizione, nell’ottica di una visione più «olistica» e integrata della contrattazione.
La transizione va intesa come un’opportunità, proprio attraverso i principi di giusta transizione, per arrivare ad una ricomposizione della frattura tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute e alla qualità ambientale che ha caratterizzato e ancora caratterizza il dibattito all’esterno e all’interno del sindacato.
Quello che appare essenziale è rivendicare, come detto, un ruolo del sindacato come agente proattivo, anziché semplicemente reattivo – in termini di giustizia e protezione del lavoro – nel governo della transizione ecologica (Stewart 2015) 5.
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5S.Rugiero, D. Di Nunzio (eds), 2021, Digital transitions and innovation in construction value chains: industrial relations and equitable socio-technical change, Gloucestershire, Edward Elgar Publishing Ltd., in press.
Secondo le prime esperienze di ricerca in questo campo il successo di questa transizione passa dal coinvolgimento fattivo dei lavoratori e dei loro rappresentanti, anche per non disperdere il patrimonio di esperienza e di informazioni e conoscenze altamente qualificate che sono una ricchezza inestimabile anche a supporto delle scelte complesse dei decisori e che sono un antioto fondamentale contro i rischi di desertificazione industriale e di delocalizzazioni di professionalità e processi produttivi.
Per fare questo serve andare oltre i canali tradizionali delle relazioni tra organizzazioni sindacali e aziende, rilanciando e riqualificando le relazioni industriali con strumenti che superino l’attuale modello basato solo sulla informazione e consultazione dei lavoratori. E, quindi, prevedendo la partecipazione delle organizzazioni sindacali nei consigli di sorveglianza affinché la giusta transizione sia argomento di confronto nell’azienda, tra i lavoratori, alzando il livello di interlocuzione sociale mediante percorsi di partecipazione democratica alle decisioni che consentano al mondo del lavoro di essere il concreto artefice di una nuova qualità dello sviluppo.
E proprio della costruzione condivisa di un diverso modello di sviluppo per il territorio, per l’impresa e per il lavoro parleremo in questo convegno attraverso la tavola rotonda che coinvolge le varie parti interessate, nella logica di un dialogo sociale allargato, partendo però prima dall’ascolto della voce dei rappresentanti dei lavoratori di quei territori che saranno maggiormente interessati dai processi transizione socio-tecnica verso la sostenibilità.
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