La pandemia da Covid-19 ha influito enormemente anche sulle transizioni digitale e green, aumentandone la portata ed accelerandone i processi. Basti pensare, solo per fare qualche esempio, alla diffusione del lavoro da remoto, alla trasformazione dell’industria Automotive con l’accelerazione dell’ibrido e dell’elettrico, al settore chimico-farmaceutico per la ricerca e la produzione di vaccini innovativi.
Ma quasi tutte le attività produttive hanno subìto una accelerazione dei processi determinati dalle due transizioni.
A questo bisogna aggiungere la significativa novità determinata dalla svolta impressa alle politiche della UE. Prima il Green Deal e tutti i provvedimenti che accelerano il percorso di riduzione delle emissioni di carbonio. Poi col cambio – determinato dalla pandemia - di paradigma nelle politiche economiche, passate dall’austerity alla sospensione del patto di stabilità e a Next Generation EU.
Ma le due transizioni gemelle, green e digitale, non hanno solo bisogno di chip digitali ed energia verde. Per innovare i processi servono competenze che oggi ancora non ci sono. Le trasformazioni in atto, inoltre, cancelleranno lavori e ne creeranno di differenti.
Affinché queste transizioni siano possibili e non determinino rilevanti impatti sociali, con una ulteriore crescita delle disuguaglianze, bisogna creare le condizioni affinché queste transizioni siano giuste.
La Just Transition è infatti l’obiettivo che persegue tutto il sindacato, a partire da quello internazionale ed europeo, ma Just Transition è anche l’obiettivo che si è data la UE.
Per avere transizione giusta – sia digitale che green – con cambiamenti che avvengono ad una velocità molto maggiore che in passato, bisogna adeguare ed innovare i processi formativi e di aggiornamento delle competenze. Realizzare percorsi di formazione continua capaci di includere tutti ed accompagnare per tutto il corso della vita, riconoscere e valorizzare le competenze via via acquisite.
Nel 2018 nell’UE, solo il 10,8% degli adulti (in Italia 8,1%) ha partecipato a percorsi di istruzione e formazione. La situazione è ancora più critica se si considera l'enorme discrepanza tra il 4,3% degli adulti scarsamente qualificati che si formano rispetto al 19% di quelli altamente istruiti. Coloro che hanno più bisogno di formazione, non la ricevono. Le politiche e i datori di lavoro lasciano indietro i lavoratori già svantaggiati (lavoratori scarsamente qualificati, donne, genitori soli, disabili, anziani, migranti, a tempo parziale, non standard, atipici, a tempo determinato, temporanei, autonomi, piattaforma e lavoratori interinali).
Sulla formazione la UE si sta dando programmi molto ambiziosi, fissando l’obiettivo che entro il 2030 almeno il 60% degli adulti partecipi ogni anno ad attività di formazione e che almeno l’80% degli adulti abbia competenze digitali di base e sta stanziando significative risorse. Molti Stati membri stanno varando piani ambiziosi e stanziando specifiche risorse.
Anche le organizzazioni sindacali e le imprese comprendono l’importanza della formazione continua e contrattano e sottoscrivono accordi negoziali innovativi.
Sull’argomento si sviluppano molte iniziative ed il dibattito è molto ricco.
Su questi temi torna a pronunciarsi IndustriAll Europe che con un Position Paper approvato all’ultimo Comitato Esecutivo fa una analisi della situazione, valuta le proposte in campo e avanza precise proposte e richieste ai protagonisti principali, con i lavoratori, di questa sfida, con l’obiettivo di "Garantire l'occupabilità lungo tutto l’arco della vita attraverso la formazione per percorsi professionali a prova futuro".
Position Paper (in italiano) Articolo di IndustriAll Europe (in italiano)